A Milano (ma non solo) è allarme "mal di sushi": ecco come riconoscerlo e cosa fare

Il sushi è diventato non solo un piatto molto gustoso della cucina orientale, ma una vera e propria irrinunciabile tendenza. Peccato, però, che, per non rischiare intossicazioni alimentari dovute all'ingestione di pesce crudo, chi lo serve dovrebbe rispettare regole e normative ben precise, e non sempre lo fa. Lo dimostra quanto sta accadendo a Milano, dove in pochi giorni sono cresciuti in maniera preoccupante il numero delle segnalazioni di malori e le ispezioni dei Nas nei ristoranti che lo servono.

Le cucine cinese e giapponese sono ormai entrate a far parte in pianta stabile delle nostre abitudini alimentari, e il numero di ristoranti che offrono cucina orientale a prezzi vantaggiosi (i cosiddetti “all you can eat“) sono proliferati in tutte le città italiane in maniera davvero importante. Tutto merito della formula, che permette, per chi non ha mai provato, di sperimentare piatti diversi dai tradizionali, o, per gli appassionati di sushi, di poterne mangiare a volontà, a prezzi -fissi- molto ragionevoli. Un successo clamoroso, che ormai ha portato il sushi a diventare davvero uno dei piatti preferiti di molte persone, da provare in diverse varianti, spesso anche curiose, come nel caso del “sushi burrito” o del “sushi burger“,  che, come è facile intuire dal nome, uniscono insieme ingredienti e cibi di tradizioni culinarie diverse.

Fin qui tutto bene, se non fosse che per fornire un sushi perfetto occorre rispettare delle basilari, ma fondamentali, regole per la conservazione degli alimenti, dato che stiamo pur sempre parlando di pesce crudo. E, visti il numero dei ricoveri al Pronto Soccorso e le sempre più numerose segnalazioni ai Nas (il gruppo anti sofisticazioni dei Carabinieri) degli ultimi tempi, a Milano verrebbe da pensare che non proprio tutti i rivenditori di sushi rispettano e seguono alla lettera tali regole.

Uno degli ultimi casi il 29 settembre, quando quattro medici sono stati ricoverati dopo aver mangiato tonno in un ristorante di via Marostica; dopo l’ispezione, il gruppo dei Nas ha effettivamente riscontrato irregolarità nella modalità di conservazione dei pesci. Ma già il 6 settembre l’Ats aveva ispezionato un bar, dopo che erano sopraggiunte le segnalazioni per ben tre malori, così come il 26 e 27 settembre altri tre ristoranti “all you can eat” sono stati sottoposti a controllo. Insomma, tempi duri per gli amanti del pesce crudo: il “mal di sushi” dilaga. Ma come capire che si è rimasti intossicati per aver ingerito del pesce crudo mal conservato?

I sintomi del “mal di sushi”

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La sindrome sgombroide, questo il nome tecnico, che colpisce chi mangia tonno o altri pesci azzurri mal conservati, si manifesta soprattutto con nausea, mal di testa, rossore del viso e del collo, mentre nei casi più gravi si ha anche un edema della glottide, con conseguente rischio di soffocamento. La dottoressa Simonetta Fracchia, direttore Igiene alimenti e nutrizione dell’Ats milanese, dalle pagine di Repubblica rassicura, dicendo che non si può parlare di epidemia, ma certo esiste un focolaio preoccupante, e chi vuole mangiare pesce crudo dovrebbe farlo rivolgendosi esclusivamente a ristoranti di cui conosce perfettamente gli standard di qualità. Insomma, forse meglio spendere qualcosa in più ma mangiare sushi in ristoranti assolutamente certificati.

Ad ogni modo la cura per chi abbia in corso un’intossicazione alimentare dovuta all’ingestione di pesce crudo mal conservato è estremamente semplice.

La cura alla sindrome sgombroide

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A chiunque resti intossicato è sufficiente prendere antistaminici o cortisone per poter stare bene nel giro di poche ore; diverso, e più grave, è il caso di una donna in gravidanza, a cui la terapia cortisonica non può essere applicata. Per questo, e anche per evitare altre patologie come la salmonellosi, alle donne incinte è consigliato di evitare, durante tutti i mesi della gestazione, di mangiare carne o pesce crudi.

Come prevenire il mal di sushi

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Se non volete rinunciare al piacere del sushi in ogni sua variante, come suggerisce la dottoressa Fracchia, vi basterà rivolgervi a ristoranti che si attengano alle regole base per servire pesce crudo, anche se è difficile capire esattamente quanti e quali siano ( da un’indagine recente emerge che su 19 ristoranti, fra Roma e Milano, solo tre osservino le norme europee): anzitutto è bene ricordare che sushi e sashimi non vanno preparati con pesce fresco, ma con pesce precedentemente congelato, come stabilito dalla normativa europea, con Regolamento 853/2004, per cui i pesci consumati crudi devono essere congelati a -20° per almeno 24 ore, in modo da uccidere tutti i parassiti presenti, a partire dall’Anisakis, il più comune che si annida proprio nei bocconcini che amiamo tanto. Il trasporto in condizioni igieniche e di temperatura non ottimali, soprattutto per i carichi che arrivano dal Pacifico, sono un’ottima causa di contaminazione per i tranci di pesce  che vengono portati ai ristoranti, e spesso esposti in vetrina, ecco perché il congelamento preventivo è tanto importante al fine di “sterilizzarli”.

Alcuni dati

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Nel 2016 sono già 45 i casi di sindrome sgombroide dichiarati, con 38 intossicazioni tra il 1° gennaio e il 31 agosto, ed altri sette che si sono aggiunti nel mese di settembre; ma l’anno nero del sushi è stato in realtà il 2015, con ben 47 “vittime” accertate nella sola città di Milano.

Insomma nessuno dice che dobbiamo smettere di consumare sushi, che ormai è entrato di diritto nei nostri menu; solo è troppo importante accertarsi che chi ci serve pesce crudo rispetti adeguatamente la normativa europea, e i controlli a tappeto di Nas e Ats di questi giorni, si spera, potranno restringere il cerchio, lasciando preziose indicazioni su quali siano effettivamente i ristoranti di cui ci possiamo fidare.

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