Paradosso della carne: il desiderio di non fare del male a chi si vuole mangiare
Il paradosso della carne è un fenomeno importante oggi a fronte delle consapevolezze ambientali e di quelle etiche legate alla crudeltà sugli animali.
Il paradosso della carne è un fenomeno importante oggi a fronte delle consapevolezze ambientali e di quelle etiche legate alla crudeltà sugli animali.
Ma anche chi non abbraccia filosofie cruelty free non è detto che non combatta o quanto meno si interroghi sul consumo della carne. Anzi esiste un fenomeno in psicologia, chiamato appunto il “paradosso della carne”.
Il paradosso della carne consiste nel fatto che molte persone decidano di prendersi cura di alcuni animali (tra i più comuni ci sono sicuramente cani e gatti) e di nutrirsi di altri.
Nel 2010, all’interno di una celebre trasmissione di cucina, sulla tv italiana, un giornalista accennò a quando, in tempo di guerra, la carestia portò alcuni a mangiare i gatti: ne scaturì una polemica passata alla storia, ma che tuttavia rende evidente questo paradosso. Ovvero perché ci fa orrore l’idea di mangiare un gatto, mentre ci nutriamo di mucche, vitelli, polli o altro?
Secondo quanto spiega la Bbc, gli psicologi Brock Bastian e Steve Loughnan ritengono che il paradosso della carne consista nel “conflitto psicologico tra la preferenza alimentare delle persone per la carne e la loro risposta morale alla sofferenza degli animali”.
A questo si aggiunge il cosiddetto fenomeno della “cutificazione”, che porta le persone a pensare che alcuni animali con determinate caratteristiche fisiche non dovrebbero essere mangiati perché fanno tenerezza, mentre quelli che non ispirano questo sentimenti possono prendere la via del mattatoio.
Il paradosso della carne è alimentato e amplificato dal fatto che molti esseri umani hanno trovato dei modi per aggirare l’ostacolo, e cioè trovare una diversificazione tra gli animali, classificandoli in animali d’affezione e animali da reddito. Come se questo spegnesse di fatto il conflitto etico del mangiare la carne, una tematica affrontata già da Plutarco nel I secolo.
Non solo: un altro modo per ridurre al minimo i problemi di etica alimentare sono, per alcuni, il fatto di dissociare l’idea dell’animale a quello della carne, ricorrendo al controfiletto, al prosciutto o all’hamburger, come se questi non provenissero da un animale.
Il principale teorico del paradosso della carne è Rob Percival, che ha scritto un saggio dal titolo The Meat Paradox: Eating, Empathy and the Future of Meat. La ragione con cui spiega il fenomeno è essa stessa un paradosso:
Non è che mangiamo molta carne allevata industrialmente perché ignoriamo ciò che realmente accade, piuttosto siamo intenzionalmente ignoranti perché mangiamo molta carne.
Il saggio, come riporta The Guardian, non propone in realtà una soluzione. Sebbene parli di “omicidio” quando si riferisce alla macellazione della carne (ma anche nello sfruttamento legato agli allevamenti intensivi), Percival afferma anche che il veganismo non sia naturale, poiché nella sua evoluzione dall’Homo Erectus (ovvero 1,8 milioni di anni fa), gli esseri umani si sono nutriti sempre di carne, ottenendo così zinco, ferro, vitamina B12 e acidi grassi.
Un concetto che sfida le convinzioni di parte dell’opinione pubblica ma non ignora che il veganismo è una realtà legata a esigenze salutistiche oltre che di problemi di coscienza (connessi allo sfruttamento degli animali) che quindi sfuggono al paradosso.
Smettere di mangiare carne però è anche un’esigenza ambientale. In un articolo diffuso da Animal Equality, si comprende bene la portata dell’impatto ambientale legato al consumo della carne. In pratica, gli allevamenti contribuiscono in maniera considerevole all’emissione dei gas serra (come il metano che è legato alla digestione di ovini e bovini) o altre sostanze come il protossido di azoto (che si genera durante la decomposizione del letame prodotto dai ruminanti):
È stato calcolato che se solo la popolazione degli Stati Uniti decidesse di rinunciare a carne e derivati per un solo giorno alla settimana, in un anno, risparmieremmo alla nostra atmosfera l’inquinamento prodotto da 7,6 milioni di automobili.
Quindi le implicazioni del paradosso della carne riguardano, come accennato, la sensibilità relativa al mondo animale ma anche il benessere del pianeta Terra.
E il paradosso può portare a due esiti: nel primo le persone decidono semplicemente di ignorare, come afferma Percival, la crudeltà che mangiare carne comporta, nel secondo decidono invece di abbracciare una dieta vegana (ma anche di evitare prodotti in pelle e pelliccia, a meno che non siano sintetiche).
La psicologa Julia Shaw scrive nel suo saggio Evil: The Science Behind Humanity’s Dark Side:
È tempo di rivoluzionare il modo in cui parliamo degli esseri umani, degli animali e del pianeta e riconoscere le nostre ipocrisie. Invece di fare ginnastica mentale per giustificare un comportamento non etico, dobbiamo considerare di cambiarlo davvero. Identificare e affrontare anche solo alcune delle tue incoerenze etiche tormentate dai sensi di colpa probabilmente ti renderà una persona più felice e il pianeta un posto migliore.
Diventare vegani è possibile? Certo che sì. È difficile? Dipende da persona a persona.
Ci sono vegani che si rivolgono a un nutrizionista in modo da compensare con altri alimenti (per esempio i legumi) le sostanze che non assumerebbero smettendo di mangiare carne e cibi che provengono da animali: per noi italiani è almeno filosoficamente un po’ più semplice, perché molti piatti poveri della cucina regionale sono vegan all’origine. Ma questa soluzione non va bene per tutti. C’è chi non mangia più carne e non ne sente affatto la mancanza, ma non tutti hanno questo sentimento.
E allora come si fa? Alcuni optano per un’alimentazione sostenibile e per il cosiddetto consumo di carne sostenibile, ovvero la carne che proviene da animali tenuti in allevamenti in cui vengono “trattati bene”. Il problema, però, che di fatto non elimina il dilemma etico che il paradosso della carne prova a svicolare, è quale sia il concetto di “trattar bene” un animale destinato in ogni caso a essere ucciso per il consumo alimentare. Inoltre, spesso le persone ignorano che, anche nel caso in cui gli animali siano usati non per essere macellati, ma per dare prodotti, come latte e uova, ci sia davvero ben poco di etico: basti pensare che le mucche, affinché producano latte, devono essere ingravidate artificialmente attraverso l’ausilio di una pistolette contenente il seme maschile, inserita in vagina, o che i vitelli, cui il latte sarebbe naturalmente destinato (le mucche, infatti, proprio come le donne producono latte solo se incinte), vengono strappati alla madre dalla nascita, per essere, presumibilmente, macellati poco dopo.
Lo stesso dicasi per le galline, che depongono uova spontaneamente, ma in misura decisamente minore rispetto a quelle degli allevamenti; parliamo di una proporzione di 25 uova all’anno contro le 300 delle galline ovaiole da allevamento. Fa anche molto discutere il fatto che i pulcini maschi vengano immediatamente abbattuti alla nascita – il più delle volte tritati vivi -, tanto che la Camera dei Deputati ha approvato, il 2 luglio 2022, la legge che, a partire dal 2026, darà lo stop all’abbattimento. Insomma, l’alimentazione con carne sostenibile sembra più un ossimoro, una bella teoria più che una realtà praticabile.
Una soluzione che – è il caso di dirlo – salva capra e cavoli – è la carne coltivata in laboratorio: essa viene infatti prodotta dalle cellule staminali e nessun animale viene maltrattato o macellato per ottenerla. Al momento la UE la considera un novel food, ed è quindi sottoposta a rigidi controlli e normative per regolamentarne l’introduzione nei mercati (un po’ come accade per i prodotti che contengono gli insetti), ma nel momento in cui l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) dovesse approvarne la sicurezza, potrà entrare nel mercato europeo ed essere acquistata. Ad oggi viene ancora utilizzato il siero fetale bovino, che è un sottoprodotto dell’industria della carne, come ingrediente fondamentale del terreno di coltura per le cellule, ma si sta studiando per garantire l’utilizzo di soli prodotti vegetali.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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