Carne sintetica: cos'è e perché potrebbe fare più male di quella da allevamento

Ha spaccato l'opinione pubblica in due fazioni, tra chi ha apprezzato questa nuova proposta, accogliendola come etica, e chi si è rifiutato in modo categorico di considerare "carne" qualcosa che non si sia sviluppato naturalmente. Di mezzo c'è anche l'impatto ambientale: è veramente più sostenibile della carne da allevamenti intensivi?

All’epoca dei nostri nonni, quando era considerata per i più un lusso, la carne veniva consumata con grande moderazione, solitamente due volte a settimana. Oggi la carne è diventato un alimento quasi quotidiano, onnipresente sulle nostre tavole e con una vastissima scelta di tagli e tipologie nel reparto macelleria del supermercato.

Purtroppo, è stato dimostrato già da qualche anno che la filiera della carne ha un enorme impatto in termini ambientali. Secondo uno studio pubblicato sul sito della ONG britannica Chatham House, i gas serra derivanti dall’allevamento di bestiame destinato al macello o alla produzione di latte e formaggi equivalgono al 14,5% del totale. Giusto per fare un paragone, quelli causati dal trasporto aereo, su ruote, navale e ferroviario corrispondono a circa il 13% del totale.

Dati allarmanti, ma che non suggeriscono nulla di irreparabile. Per esempio, un rapporto della FAO risalente al 2013 afferma che, con un impiego più diffuso di pratiche di allevamento e di tecnologie più efficienti, si potrebbero tagliare le emissioni di gas serra prodotte attualmente dal settore zootecnico del 30%.
Tuttavia, è in via di sperimentazione un metodo di produzione alternativo della carne, dal sapore decisamente fantascientifico: la coltivazione in laboratorio, per creare la cosiddetta carne sintetica (o, appunto, coltivata).

Carne sintetica: cos’è e come si produce?

La carne sintetica si ottiene raccogliendo cellule staminali da tessuti animali, per poi lasciarle in vitro a crescere e differenziarsi in fibre. Si arriverà a ottenere una quantità sufficiente di tessuto muscolare, che potrà essere lavorata e venduta come carne.

Risale al 2013, durante una conferenza stampa a Londra, la prima dimostrazione di un hamburger creato a partire da cellule staminali di un bovino. Un team di scienziati olandesi della Maastricht University ha sottoposto all’assaggio la loro creazione, suscitando commenti di meraviglia e stupore. Non sono ovviamente mancate le critiche, da parte di chi sosteneva che, nonostante la consistenza perfetta, il sapore era decisamente migliorabile.

Il primo vantaggio che si trarrebbe da questo metodo, rispetto all’allevamento intensivo, sarebbe una diminuzione di emissioni di metano. Si tratta di un gas che bovini e ruminanti espellerebbero in grande quantità a causa del loro processo digestivo, assieme al monossido di azoto.

D’altra parte, il processo di lavorazione in laboratorio è ancora in parte sperimentale oltre che effettuato su piccola scala, e ciò rende la carne sintetica un prodotto piuttosto costoso. L’obiettivo sarebbe arrivare a un punto della produzione per rendere competitivo il prezzo della carne da laboratorio da quella da allevamento.

Carne sintetica e impatto climatico

carne sintetica
Fonte: Pixabay da Pexels

Un articolo pubblicato su Frontiers, sito che raccoglie studi scientifici di Università di tutto il mondo, riporta che nonostante l’interesse sempre maggiore riguardo lo sviluppo della carne da laboratorio, i potenziali impatti climatici della lavorazione dalla cellula alla bistecca non sono stati ancora investigati fino in fondo.

Se i dati sulla nocività per l’aria degli allevamenti intensivi non sono più un mistero, per la carne sintetica il discorso si fa più complicato. I problemi comincerebbero a sorgere dal momento in cui si ipotizza la possibilità di estendere la coltivazione della carne a un progetto su larga scala.

Alcuni studi hanno provato a immaginare questo possibile scenario: l’indice di uno studio pubblicato su PubMed, per esempio, confronta le possibili implicazioni ambientali su scala industriale della carne sintetica rispetto agli allevamenti intensivi.

Da una parte i risultati suggeriscono che la coltivazione in vitro richiede certamente minori risorse di tipo agricolo e terreno, rispetto al bestiame. D’altro canto ciò andrebbe a scapito di un uso maggiore di energia necessaria per riprodurre funzioni biologiche, quali la digestione e la circolazione dei nutrienti. Esse sono compensate da equivalenti industriali, il cui uso smodato potrebbe portare a una maggiore emissione di CO2.

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La CO2, rispetto al metano può accumularsi per millenni e peggiorare irreversibilmente l’effetto serra, mentre l’altro (che ricordiamo essere prodotto in grande quantità dal bestiame)  permane in atmosfera per circa una decina d’anni, anche se nel breve termine ha un maggiore impatto.

La sfida per il futuro pare chiara: progettare e mettere in atto risorse energetiche sostenibili, in armonia con l’ambiente e l’etica per gli animali e al momento la strada più efficace sarebbe quella di abbassare il consumo di carne, naturale o sintetica che sia.

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