La cottura passiva è diventato un argomento d’attualità alla luce della recente crisi energetica. A fronte di governi internazionali che, pur sapendo da tempo che il pianeta rischia di morire a causa dello sfruttamento delle risorse esauribili, del riscaldamento globale, dell’inquinamento e degli sprechi, non hanno trovato ancora la quadra su energie pulite, rinnovabili ed economiche, c’è chi corre ai ripari come può. Anche riesumando conoscenze elementari di fisica.

Cosa significa cottura passiva?

Cottura passiva
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La cottura passiva è una tecnica abbastanza antica che consente di cuocere le pietanze anche a fuoco spento. In pratica si basa sulla conservazione del calore e sulla trasformazione dell’energia in calore: accendendo il fornello per un po’ di tempo e poi spegnendolo, teoricamente la cottura dovrebbe continuare. E lo fa anche in pratica, anche se ogni pietanza presenta tempi diversi.

I cibi infatti proseguono la cottura a tempo determinato e in misure differenti dopo che sono state sul fornello o nel forno. Per capire, basti pensare al contrario della cottura passiva, ossia a quel gesto che si effettua quando si vuole fermare la cottura di un cibo. Come quando prepariamo l’insalata di riso: sciacquare il riso dopo che è bollito non serve solo a eliminare l’amido in eccesso, ma anche a fermare la cottura in modo che il riso non scuocia.

Benefici e vantaggi della cottura passiva

I benefici della cottura passiva sono relativi al risparmio energetico. I Pastai Italiani di Unione Italiana Food hanno stimato che spegnere il fornello due minuti dopo che si è buttata la pasta nell’acqua bollente può far risparmiare il 47% di energia e ridurre quindi notevolmente la CO2.

In altre parole, al tempo stesso, possiamo, in linea decisamente teorica, aiutare il pianeta Terra a sopravvivere e risparmiare sulle bollette.

Svantaggi della cottura passiva

Cottura passiva
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Ci sono dei limiti più che svantaggi. Uno è abbastanza ovvio: la cottura passiva dovrebbe essere praticata da ogni persona sulla Terra e dovrebbe essere affiancata da altre buone abitudini. Quindi che la pratichiamo in Italia o in Europa, dove ci sono, seppur timide, politiche ambientali, questo rappresenta solo una goccia nell’oceano. Va bene, ma serve solo a pulire la coscienza personale, a fronte della necessità di una solidarietà globale sui temi dell’ecologia.

C’è poi la questione dei materiali che disperdono il calore in maniera differente. Cinquanta o sessanta anni fa erano ancora in auge pentole e padelle in alluminio: l’alluminio è un materiale ottimale per evitare la dispersione del calore (e quindi funzionerebbero molto bene per la cottura passiva), ma questi oggetti da cucina sono andati in disuso per diverse ragioni, tra cui le questioni legate alla produzione del materiale e il fatto che risultavano poco agevoli per via delle difficoltà connesse alla pulizia.

Oggi esiste una tendenza alla produzione di pentole e padelle in pietra lavica. L’effetto non è lo stesso dell’alluminio, ma è comunque molto buono. Lo stesso si dica per oggetti da cucina più tradizionali, come le pentole che hanno il rivestimento interno porcellanato oppure le pignatte in terracotta. Avete mai notato che portando in tavola una pignatta in cui avete eseguito una cottura in umido, il suo contenuto continua a sobbollire e sfrigolare per alcuni minuti? È la prova empirica del modo in cui funziona la cottura passiva.

Purtroppo però lo stesso non si può dire della cottura passiva in acciaio inox, che non è altrettanto efficace e ora vi spieghiamo anche come.

La diatriba sulla pasta

Si è parlato molto di cottura passiva della pasta in relazione alla crisi energetica. La diatriba ha toccato inevitabilmente l’Italia, nazione in cui la pasta è un’istituzione culinaria, uno dei cibi che mangiamo quotidianamente in misura maggiore. Ma comunque la pasta è ultraconsumata in tutto il mondo, anche se inevitabilmente nel Belpaese non siamo riusciti a impedire di trasformare il dibattito in polemica del campanile.

È accaduto che un celebre marchio di pasta, la Barilla, abbia diffuso via social l’idea della cottura passiva, invitando a spegnere il fornello 2 minuti dopo che la pasta è in cottura e lasciandola lì per il tempo indicato sulla confezione. Sul sito dell’azienda ci sono i dettagli relativi a tutti i formati di pasta da essa prodotti. Tuttavia ne aveva già parlato il fisico Giorgio Parisi e alcuni chef. Naturalmente sui social, dove la discussione viene polarizzata, le persone si sono divise: ad alcuni è sembrata una buona idea, altri l’hanno scartata a priori, mentre c’è stato perfino chi l’ha derisa.

Ma in effetti, a proposito dei limiti della cottura passiva, proprio la pasta merita uno “studio” a parte (nel senso che ognuno nell’approcciarsi alla tecnica deve cercare di capire ed effettuarla al meglio, di volta in volta forse in modo diverso). La maggior parte dei cuociscola in commercio è fatta in acciaio inox a uno strato e questo materiale disperde il calore molto più velocemente rispetto, per esempio, alla pietra lavica. Quindi o si producono (e si utilizzano) più cuociscola in pietra lavica (o al limite con l’interno porcellanato), oppure il procedimento diventa più complesso.

C’è poi la questione del taglio della pasta. Ok, la Barilla ha diffuso le informazioni in merito alla propria produzione, ma il mercato della pasta è un ricco mosaico. E in tutto questo c’è proprio chi non rinuncia alla pasta tradizionale, quella con la trafilatura al bronzo. E l’approccio a essa non può che essere differente rispetto a una pasta industriale. Certo, per agevolare la questione esiste oggi il Passive Cooker, che si mette nella pentola e ci dice quando tempo la pasta deve restare nell’acqua a fuoco spento, oltre che un bot su WhatsApp che elargisce consigli. Ma basterà?

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