Tiki bar: perché vanno tanto di moda? I 9 migliori in Italia e nel mondo
Sui tiki bar c'è stata in passato l'ipotesi di appropriazione culturale: la sensibilità contemporanea li ha restituiti al cosmopolitismo.
Sui tiki bar c'è stata in passato l'ipotesi di appropriazione culturale: la sensibilità contemporanea li ha restituiti al cosmopolitismo.
Ma c’è anche chi sostiene che si tratti di appropriazione culturale. Ecco alcuni elementi per comprendere il fenomeno.
Si tratta di un bar esteticamente modellato su cliché esotici, in particolare relativi alla Polinesia. Quindi troveremo piatti e cocktail ispirati e occidentalizzati a partire da quelli tipici dell’Asia in generale, dei Tropici, di zone calde e tropicali. Tanto che non sarà raro vedere camerieri con camicie hawaiane, bambù e un ambientazione che ricorda la spiaggia.
A volte troveremo anche temi marinareschi in stile pre-atomico e musiche filo-esotiche. Fondamentalmente si tratta di una rivisitazione a tinte pop dei bar che negli anni ’30 si potevano trovare nelle zone tropicali, ma non necessariamente questa rivisitazione è fedele o aderente alla realtà.
Tiki è una parola maori, come riporta il New York Times, che indica l’icona scolpita di un dio, divenuta poi l’immagine principale su bicchieri decisamente kitsch: negli Stati Uniti divenne invece sinonimo di souvenir. Il primo tiki bar è infatti statunitense: fu fondato da Donn Beach (al secolo Ernest Gantt), che aprì Don the Beachcomber nel sud della California nel 1933, offrendo succhi di frutta freschi e cocktail al rum che potevano contente addirittura 10 ingredienti.
Il suo esempio fu seguito da Victori Bergeron, che aprì un tiki bar nel nord della California nel 1937, il Trader Vic’s. Qui venivano offerti piatti cinesi occidentalizzati, esempio che fu seguito da numerosi tiki bar, e la moda è stata in auge fino agli anni ’70, decennio in cui ne iniziò il declino per poi avere un revival dagli anni ’90 in poi.
Su Eater si solleva il dubbio che utilizzare l’ispirazione a luoghi reali, popolati di persone che oggi soffrono a causa del cambiamento climatico, possa rafforzare l’idea colonialista secondo qui questi popoli sarebbero ritenute “inferiori”.
Lo stesso termine esotico in effetti dà l’idea di qualcosa di estraneo: è bizzarro immaginare un bar che in una zona fredda in inverno serva piña colada, per cui è normale che da questo argomento scaturiscano una riflessione e un dibattito relativi all’appropriazione culturale e al paternalismo che essa porta con sé. Una specie di mito del buon selvaggio riaggiornato al nostro tempo.
I grandi classici sono dei cocktail a base di rum, come Mai Tai, Zombie e Painkiller, ma anche chupiti.
Secondo Food Republic, il vero cocktail tiki è composto da succhi acidi (come limone e arancia, o in generale tutti gli agrumi), sciroppo di zucchero, alcolici, acqua e ghiaccio e spezie. Basti pensare all’iconico Mai Tai, che è appunto composto da rum, curaçao all’arancia, sciroppo, succo di lime. O allo Zombie, che si realizza con diversi rum bianchi, dorati e scuri, brandy di albicocca, falernum, bitter e succhi di frutta.
Oggi, come riporta Thrillist, si sono aggiunti nei cocktail nuovi ingredienti, come frutta diversa (per esempio cocco o banana), nuovi alcolici oltre a caffè, panna e menta. Il tutto viene confezionato con graziosi ombrellini, che inizialmente servivano a far sciogliere meno in fretta il ghiaccio nelle giornate calde.
Dicevamo: dagli anni ’90 i tiki bar sono di nuovo di tendenza. Una ragione, secondo il New York Times, relativa soprattutto a partire dalla fine del decennio 2010, è che questi locali stanno cercando di liberarsi appunto dall’idea di appropriazione culturale e razzismo, puntando su caratteristiche come livello del beverage, ospitalità, attenzione per i dettagli.
In pratica, si cerca di non rivisitare la cultura di altri Paesi, ma di puntare sul pastiche, come rimarca Eater, sul cosmopolitismo che oggi attiene a qualunque ambito della nostra vita. In altre parole, i tiki bar sono americani e americani restano: ma come per il melting pot culturale degli Stati Uniti, è la commistione di elementi la vera forza del fenomeno. Naturalmente spogliata del paternalismo che l’appropriazione culturale porta con sé.
Oltre a numerosi locali situati soprattutto in California, luogo di nascita del tiki bar, troveremo locali di qualità un po’ per tutto il mondo. Abbiamo stilato un piccolo elenco in base alle ricerche attraverso TripAdvisor.
Vi ricordiamo però che non solo la piattaforma è suscettibile del giudizio personale dei suoi utenti, ma che ognuno può trovare preferenze in un locale in base a ciò che per lui o per lei è davvero importante. Ecco quali sono i locali selezionati:
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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