Le pesche di Prato si chiamano in questo modo perché la loro storia è in un certo senso legata alla città di Prato. Esiste infatti una documentazione che riporta come un oste servì questo dessert durante una festa per l’Unità d’Italia nel 1861. Tuttavia, come alcuni sanno, la tradizione gastronomica può avere al tempo stesso radici ed esiti legati a spostamenti, contatti, migrazioni. E perciò non vi stupirà sapere che questo dessert è diffuso non solo in altre zone d’Italia ma anche al di fuori del Belpaese, per esempio in alcune zone della ex Jugoslavia, dove, anche lì, viene considerato tipico.
Si tratta fondamentalmente di semisfere di impasto cotto al forno: quest’impasto ricorda un po’ la pasta frolla, ma comunque è qualcos’altro come vedete dalla ricetta. All’interno, queste semisfere, dopo essersi intiepidite a seguito della cottura, vengono scavate e ripiene di crema pasticciera. C’è chi, per simulare la presenza del nocciolo di pesca – frutto che dà il nome alle pesche di Prato appunto – aggiunge un cucchiaino di crema al cioccolato oppure Nutella al centro. Le “pesche”, dopo essere state composte, vengono rivoltate nell’Alchermes e nello zucchero semolato.
L’Alchermes, che è il liquore usato per conferire il tipico colore rosato alle pesche di Prato, è una bevanda molto utilizzata in cucina e in particolare nei dolci. Pare che nel Rinascimento fosse chiamato il “liquore dei Medici”, dall’omonima famiglia toscana, ma in realtà era diffuso anche in altre regioni, come per esempio la Sicilia o la Calabria, terre in cui è avvenuta nella storia un’influenza araba, che si riflette nel nome del liquore – molti termini italiani che iniziano con al- sono di influenza araba, come ad esempio “algebra”.
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