I taralli al naspro sono un dessert tipico della Basilicata, ma sono diffusi in realtà in tutto il Mezzogiorno d’Italia, talvolta in occasione di specifiche ricorrenze, come il Carnevale o la Settimana Santa, dalla Campania alla Puglia fino alla Calabria. Il termine “naspro” e le sue varianti (per esempio “nasparo” con l’anaptissi vocalica) è un termine dialettale che indica la glassa utilizzata per questa pietanza.
La glassa dei taralli al naspro è infatti un po’ particolare. Certo, c’è sempre la base che consiste nell’amalgama tra zucchero a velo e succo di limone, ma al tempo stesso si aggiunge anche dell’albume d’uovo, che ha la funzione di rendere il composto ancor più candido – in alcuni punti quasi trasparente. Questo fenomeno è legato inoltre al modo in cui questo dessert viene composto: i taralli si intingono nella glassa e si lasciano asciugare su una gratella, e la glassa stessa, per la forza di gravità, si addenserà in modi differenti, scendendo, nei diversi punti del tarallo. Senza dimenticare che si può usare una glassa colorata, con l’aggiunta di cacao o colorante alimentare per esempio.
Sono popolari e forse qualcuno non li riterrà troppo raffinati, ma c’è un fatto innegabile: i taralli al naspro sono molto versatili. Adatti a tutte le età – a meno di prescrizioni legate a condizioni di salute e abitudini alimentari – possono essere consumati a tutte le ore del giorno. In altre parole potete gustarvi quel taralluccio che vi richiama dalla biscottiera anche tra un pasto e l’altro, se desiderate qualcosa di dolce.
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